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La poesia ’immaginale’ di Armando Bertollo

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Armando Bertollo … o l’immaginale imperscrutabile del verso poetico.

Il tratto nero scorre rapido sul bristol bianco sparato a giorno, viceversa lo si direbbe graffiato sulla nera pagina imperscrutabile della notte che, pur senza apparente possibilità di congiungimento, nondimeno s’interrompe nella fuga oltre l’artato passaggio dall’Idea alla sua realizzazione:
“Ma va riconosciuto, la ribellione e la libertà (Ribeltà), sono di per sé arbitrarie, altrimenti tradirebbero la loro stessa esistenziale funzione”. (1)

Come di un ‘no-logo’ estremo in cui il tratto lineare è attraversato da migrazioni d’idee e immagini appena intraviste, nell’ottica di un caleidoscopio in bianco-nero che si sposta alla velocità della luce e che infine lo coglie, nell’irraggiungibile spazio dell’immaginale, per una psicologia dell’istante che s’appressa alla vertigine:
“…materializzando scariche di energia spaziale, oltre ogni processo, anche infinitesimale, di temporalità”. (2)

Potenziale il linguaggio avanzato da Armando Bertollo di una possibile/impossibile creatività artistica, quasi che la Poesia necessiti di una sua grafia esperienziale, altrettanto realistica della percettibilità sensibile quanto necessaria all’esigenza poetica, entro l’essenzialità di:
“Silenzi di speranze / ammutolite dal già vissuto. / Onde Si narra assente / l’occhio di un vecchio / bambino.”

Come di reticolo di linee spezzate in segmenti interrotti dalla dinamica della fuga, di rette che s’intersecano a delineare architetture future, imprevedibili di una realizzazione postuma, generata dall’attività visionaria dell’anima. In breve, tutto ciò che oltrepassa l’ordine di percezione empirica della visione personale, indimostrabile perché disconosciuta dalla facoltà sensibile o dall’intelletto razionale “…del presente, e forse addirittura nel suo futuro, che è il nostro presente” (3):
“…reticolo proteso a / pescare nel vuoto / nel tempo / […] Lì dove Accatastavo reti forate e grafie / contorte. / Le spezzavo con furore / per impugnare le rocche / di fuoco.”

Quella stessa sensibilità che, ricorrendo ai criteri della conoscenza metafisica, si dà forma ontologica di pura invenzione, pre-meditanti; quale limite di uno spazio imperscrutabile che solo l’immaginario riesce a estendere. Cosicché la grafica-poetica elaborata dall’autore, di fatto, s’avvale dello sguardo sensitivo dell’occhio osservante le linee frammentarie che ne compongono l’insieme, nel volgere di silenzi arcani che non riempiono il vuoto sospeso, la trasmissibilità della parola mancante:
“Fui bolla morbida impenetrabile / a lotta e urto / Pronta espansione per campi / e boschi che inventai / e conquistai. / Così fu / senza ferire / […] una fiammata ribelle / […] l’ira / le Sacre Spoglie di un mondo / caduto / che vorrei non segnare della mia ri-beltà.”

Congetture queste che tendono al vissuto, quello stesso in cui si riverberano esperienze del passato e interferenze del presente, sollecitate da sperimentazioni che traggono origine nel ‘movimento futurista’, datato ma mai risolutivamente scandagliato dalla poesia contemporanea, ed a cui la creatività di Armando Bertollo ritiene di poter dare continuità d’intenti:
“Attraverso i rumori / Della materia / (Strati e strade) / (Veicoli e vinti) / Avanguardie del senno compromesso / Dal troppo assenzio / Dove Incontrai il nulla.”

Allo stesso modo che in “Lo spettacolo inaugurale” l’elaborata alchimia grafica si concede al mancato congiungimento (di cui sopra) delle parole pur ad essa connaturate, per una fisionomia poetica che si consolida nella ‘de-costruzione del tratto e della parola’, e che dà ‘luogo’ (questo sì) a una visionaria quanto suggestiva forma d’Arte tout-court:
“…tra i piani visivi e i tempi sonori della significazione del pensiero.”
Arte non conforme a nessun altra nella poesia-lirica né nella poetica-narrativa che diremmo richiedente un’attenzione recitativa resa possibile solo sulla carta e/o nella fonetica propria della sperimentazione futurista; nondimeno arrendevole a quel ‘teatro dell’assurdo’ sperimentato da Samuel Beckett, in cui si concentra l’avvio di un comunicare al tempo stesso infinito e abissale, in cui cerca:
“…sulla scena madre il momento del pensato, posto, ripensato, relazionato, accudito significante.”

Quale momento clou di tutta l’opera proprio della ‘farsa’ popolare, la cui originalità, si riveste in enigmi inesplicabili “…come sono tutti gli enigmi che si spingono nella direzione del mistero”. (4) In quanto rimembranza del conoscere che potrebbe aver suggerito all’autore di questa raccolta, il suo peculiare linguaggio interpretativo in cui:
“…gli elementi del linguaggio affiorano sulla superficie, schermo della percettibilità, materia falleggiante (aerea e/o liquida) che si sostiene sul Nulla differenziandosi dopo una gestazione nell’ombrosità informe dell’energia primordiale.”

“Silenzio è quel prima che...” rifulge nel biancore vergineo della pagina, interrotto solo dall’iperbole parabolica della grafica che, a suo modo, deve comunicare la ‘terribile voce dell’intimo’ delle parole avite, rivelando l’insorgere di una possibile ‘geografia dell’immaginario’ dove tutto trasfigura in luce, significazione atemporale della memoria volontaria connessa col dopo che noi siamo, e che muta danza nel silenzio e nel mistero:
“…che è anche della luce, se sufficientemente radente: la visione sull’insignificanza luccicante del pelo dell’acqua.”

Dove l’autore, dimentico della costruzione di vuote ‘cattedrali’ si lancia a “Inseguire il filo / di un pensiero / sul filo dell’orizzonte / della mente / mettendo / a fuoco / proprio quel punto / che confonde / nave / gabbiano / naufrago / sul filo / del sentire / del comprendere / del dire / del chiedere / semplicemente / una Terra sgombra / dove lasciare un segno / appena / appena”.

“Cosa c’è tra la fine e il principio, soprattutto quando questi, fine e principio, si danno contemporaneamente? – si chiede il filosofo (5) – a voler dirimere il vero dal falso […] nello spazio occupato da parole, da frasi che s’intramano (kafkaniamente parlando) l’una con l’altra e che dicono al tempo stesso il vero e il falso, …perché in fondo tutto è vero”.

È qui che Armando Bertollo, pur senza abbandonare il segno che lo caratterizza, lascia maggiore spazio alla facoltà liberatoria / interpretativa del lettore che, sorpreso, smarrisce il suo andare all’interno di una scenografia interstiziale, congegnata in ampi spazi di magistrali silenzi e di pagine vuote che attendono ansiose la parola mancante, l’equivalente intellettuale:
“…si sospende il dato, l’ancoraggio (alla scena madre). Il cordone viene reciso alla nascita. I contatti successivi non devono degenerare in dipendenza, ma organizzarsi liberamente, per empatia , in campo solidale.”

È qui che la percezione del messaggio poetico assume la sua forma subliminale in grado di varcare la ‘soglia’ dell’inconscio condizionante l’altrui volontà , cioè eludere il tentativo filosofico, evidentemente paradossale, di coniugare le verità scritte con l’ausilio di figure, trasfigurate nel:
“…la dinamica segnica e sonora mappata in arcipelago o costellazione, in quanto unità di misura della dismisura del pensare: eccedenza di emergenza e convergenza in superficie, nello spazio”, che le circonda.

Ma il tratto non produce ombre sulla pagina, l’attraversa leggero come di flamen:
“…un soffio / nulla / far bastare / la presenza / il respiro / coordinato / sul farsi dell’onda / più / prossima / alla linea congiunta / dall’incontro di occhi / d’intesa”.
È allora che la parola prende il passo che vuole, il ritmo segnato dal “Londulazione dei segni” (6), del segno che di volta in volta la conduce, e che ne permette una lettura diversificata, rimescolata dalle assonanze, dai suoni e dai rumori muti, dai segmenti indicativi che come frecce indicano la sequenzialità dei caratteri, dalle volute di una grafia lineare che nulla occulta sotto la superficie del verso:
“…sintomo di relativa leggerezza, dove lo specifico superiore non affonda, la sua gravità è distribuita nella struttura, come pure l’aria che attraversa il corpo della scrittura”.
Siamo solo all’anteprima di un linguaggio futuribile: al “Lo spettacolo inaugurale” di una mise-en-scene che richiede un pubblico più partecipe alla ‘geniale’ ipotesi speculare e concettuale di Armando Bertollo, di dare alla Poesia lo slancio necessario per essere al passo col tempo presente ...

Al “…l’incertezza dell’avvio / la certezza del correre / attraversare / penetrare / l’orizzonte / verificando / improvvisamente / la presenza dell’aria / la carezza del procedere / attraverso / l’e-----s—perienza / oltre / la visibilità / oltre / il richiamo / oltrepassando / il ricordo / maestro / della voce / del seno / accogliente”
… guardando al futuro: The show must go on!

Note:
(*) “Ribeltà” : Esperienza del linguaggio , in Via Herakleia – Cierre Grafica 2004
(*) “Lo spettacolo inaugurale” : Coordinate di galleggiamento, in Limina – Anterem Edizioni / Cierre Grafica 2014
1) 2) Gio Ferri, Postfazione in “Ribeltà”, op. cit.
3) 4) 5) Franco Rella, “Scritture estreme”, Feltrinelli 2005
6) Giorgio Bonacini, Postfazione in “Lo spettacolo inaugurale”, op.cit.

L’autore:
Armando Bertollo,
poeta, artista, video-autore vicentino, è nato a Thiene nel 1965, vive e lavora a Schio (VI). Un artista eclettico e polipotenziale che inoltre a rassegne di pittura, scultura e fotografia, attende ad esplorare le ‘forme del linguaggio’ con particolare attenzione alle loro relazioni, ibridazioni, interferenze.
Per Cierre Grafica ha pubblicato inoltre ai libri citati: “Il teatrino della scrittura. Attraverso i sintomi”, 2009.






 Giorgio Mancinelli - 25/10/2019 07:08:00 [ leggi altri commenti di Giorgio Mancinelli » ]

Ricevo e trascrivo:

Armando Bertollo
Ho appena letto la sua recensione molto attenta, approfondita e favorevole, dedicata ai miei libri. Una recensione che forse sarebbe più appropriato definire ’saggio breve’. Che dirLe, se non che mi ha lasciato senza fiato. Mi ha oltremodo onorato e al tempo stesso intimorito l’ accostamento con tali nomi (’numi’, direi) illustri e inarrivabili quali Kafka e Beckett. Ha ben riconosciuto il mio tentativo di far evolvere la scrittura (poetica) a partire dalla matrice sperimentale visiva dei Futuristi (a loro volta debitori, come tante altre poetiche -non solo verbo-visuali- del ’900, dal "Coup de dés..." di Mallarmé). Approvo molto anche la sua scelta di ’tessere’ il testo alternando commento e citazioni, in modo che per il lettore assuma la funzione di essenziale ’guida esemplicativa’ tra le pieghe della mia scrittura.
Oltre che di ’segno’ e di ’scrittura’, mi interesso di fotografia (e video-produzione), certo. Pratico semmai il collage, contaminato anche con l’utilizzo di colore e la tecnica xerografica; ho esperienza con la multimedialità e le installazioni.

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